Titolo: Dissonanze [Primo editoriale]
Autore: * [Non registrato]
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 1-4
Continuiamo. Anche se la lingua di legno delle vecchie propagande è stata sostituita dalla lingua scivolosa del consenso, capace di dissolvere ogni idea ed analisi assimilandole all’onnipresente e cangiante réclame, ciò non costituisce un motivo significativo per ridursi al silenzio. Soprattutto in un momento come questo, quando sembra che a fronteggiare il trionfo del capitale – con le sue pretese di relegare millenni di rivolte, di giochi sovversivi e di audacie di spiriti al rango di balbettamenti infantili – non sono rimasti che gli infermieri di un sistema democratico giudicato semplicemente ammalato. E poiché si giunge ad accettare quello che c’è quando non si sa cosa si vuole, per affrontare le questioni che rendono così penosa questa fine del secolo cercheremo di individuare elementi di analisi (su quello che c’è) e di dibattito (su cosa si vuole). Esiste questo mondo, con le sue miserie ed i suoi orrori. La sua accettazione è indubbiamente il tratto comune che avvilisce quest’epoca. È vero che la forma dell’ordine sociale viene continuamente messa sotto discussione, in primo luogo dal capitale stesso, ma ciò avviene principalmente per garantirne la continuità sostanziale, l’identità di fondo. È la stessa essenza del dominio che pare essere penetrata fin nelle nostre viscere. Ovunque non si ascoltano che discorsi basati sul più accomodante dei realismi. Finite le grandi utopie, i sogni capaci di sconvolgere i cuori e di animarci, è come se d’improvviso fossimo rimasti con nulla in mano e, impauriti della scoperta della nostra inutilità, ci aggrappassimo disperatamente a ciò che conosciamo e della cui esistenza almeno siamo certi: la nostra oppressione. Come d’incanto il mondo in cui soccombiamo, che proprio per questo non può appartenerci, è diventato il nostro mondo; da migliorare senz’altro, ma comunque da difendere.
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Titolo: Dissonanze [Secondo editoriale]
Autore: * [Alfredo M. Bonanno]
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 1-4
Non è stata solo la mancanza di soldi ad impedirci di fare uscire la rivista. Anzi, questo è stato l’ultimo dei problemi, che per altro resta in piedi visto che senza soldi lo siamo tuttora, nel momento in cui facciamo uscire il n. 73, primo della nuova serie. E non è stata nemmeno la mancanza di idee. Queste ci sono. Le abbiamo continuato a dibattere con i nostri soliti metodi informali, discutendo quel poco che le occasioni di incontro tra compagni vicini alla nostra rivista ci permettevano. Forse, e più di ogni altra, una domanda rimasta inespressa, quindi collocata quasi sul fondo, è stata all’origine della sosta: che senso ha dare alle stampe oggi un foglio come questo? "Anarchismo", con tutta la sua storia ventennale, che inevitabilmente si porta dietro, ha un significato anche oggi? Oppure rischiamo di produrre carta stampata nel tentativo disperato di mangiarci la coda? E, a partire da queste domande iniziali e fondamentali, altre: che valore hanno oggi analisi come quelle che possiamo produrre sulla rivista (e questa possibilità resta intatta), in un momento in cui l’intera formazione sociale si consolida come fondata sulle parole, sulla narrazione di fatti e non-fatti? Non corriamo il rischio di cadere anche noi nella trappola, portando il nostro piccolo obolo all’ammasso delle idee? C’è ancora qualcosa da chiarire? Oppure tutto è stato di già portato alla luce dallo stesso movimento del capitale che si autodisvela nel momento in cui del proprio disvelamento ha fatto la condizione di ogni futura possibilità di gestione? In effetti, non possiamo dirci ben certi che ci sia ancora qualcosa da dire. Sembra troppo affrettata e grossolana l’indicazione di fornire analisi della realtà, anche quella più immediata e contingente, allo scopo di combatterla mentre è comune procedura per gli altri di accettarla o di limitarsi a rifiutarla. Come bandiera d’intendimenti la cosa è più che plausibile. Ma è anche realmente praticabile? Non ci sembra sia possibile, allo stato attuale delle cose, dare una risposta certa a questa domanda. La risposta la dovremmo trovare per strada, e potrebbe prendere corpo assai diverso da quello che le nostre inveterate abitudini di programmatori d’eventi ci lasciano oggi immaginare. Occorrerà essere all’altezza della situazione, avere cioè il coraggio di riconoscere questa risposta quando si formerà concretamente sotto lo sforzo analitico, e non nasconderla allo scopo di continuare a presupporre possibile un lavoro come il nostro: analisi come preparazione al combattimento. Mai come in questi ultimi anni è apparso evidente che qualche cosa non tornava nell’equazione classica tra analisi e lotta, tra teoria ed azione. Di volta in volta, con tenacia, abbiamo cercato di capire, e siamo andati dietro a fantasime più o meno plausibili. Pensate alla critica della controinformazione. Siamo stati fra i primi a proporla, avanzando i dubbi più prudenti, ma comunque avanzandoli, in merito alla sua possibile pratica e agli effetti propositivi che le si attribuivano. Lo stesso abbiamo fatto con la propaganda, intaccando, sia pure in modo marginale, il classico teorema che legava la propaganda alla chiarificazione delle idee e questa chiarificazione alle possibilità dell’evento rivoluzionario maturo in grado di costruire la società di domani. E, più ancora, siamo anche andati avanti, avvertendo dei limiti di ogni teoria progressiva, deterministicamente votata alla realizzazione della libertà, quando invece la realtà forniva segni di tutt’altro genere, quando con puntualità la barbarie del passato si ripresentava col conto da pagare. E l’elenco potrebbe continuare.
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Titolo: Le pantomime del potere
Autore: Elena Melli
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 5-7
Ormai chiunque può aspirare ad accedere alla corte dei giullari. Non occorre essere forniti di particolari doti. Per ora ce l’ha fatta la destra, quella bruna, quella in doppiopetto, quella rozzamente attuale. La sinistra, incapace di affrontare il futuro, continua a riproporre il passato, ma in ottima compagnia.
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Titolo: Radiografia di un avvenimento
Autore: Alfredo M. Bonanno
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 8-13
La potenza dell’avvenimento si affievolisce nella chiacchiera quotidiana. La continua riproduzione del fatto attraverso la parola significa liquidazione di ciò che questo poteva significare. Può darsi che l’uomo non sia più capace di produrre fatti indicibili, quei grandi fatti di fronte ai quali il silenzio è la sola attestazione di significatività.
Titolo: Come non dire la Bosnia
Autore: * [Alfredo M. Bonanno]
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 14-15
Sulla guerra in Bosnia si è detto tutto o quasi tutto. Ma dietro tutte queste parole, e immagini, che toccano la nostra falsa coscienza, ci si guarda bene dal sollecitare un’azione contro i responsabili di quella guerra, che sono anche qui da noi.
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Titolo: La diga cacofonica
Autore: "Fifth Estate"
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagina 16
Proviamo rabbia per l’inadeguatezza delle parole, per il modo in cui sembrano nascondere ciò che riteniamo essenziale alla vita umana.
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Titolo: Chi ha ucciso Nedd Ludd?
Autore: John Zerzan
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 17-22
La distruzione delle macchine all’alba della rivoluzione industriale.
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Titolo: Distruggiamo il lavoro
Autore: Alfredo M. Bonanno
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 23-33
Il lavoro è argomento che torna in modo sempre più pressante sulle pagine di tutti i giornali, in lezioni e conferenze accademiche, in omelie papali, in dibattiti politici elettorali e perfino in articoli e pamphlet scritti da compagni. Le grandi domande che si pongono sono: come fronteggiare la disoccupazione crescente? Come ridare un senso alla professionalità lavorativa penalizzata dal neo-sviluppo industriale? Come trovare strade alternative al lavoro tradizionale? Come, infine, ed è questo il livello a cui ragionano molti compagni, abolire il lavoro o ridurlo al minimo indispensabile? Diciamo subito che nessuna di queste domande ci appartiene. Non ci interessano le preoccupazioni politiche di chi vede nella disoccupazione un pericolo per l’ordine e la democrazia. Non ci riguardano le nostalgie della perduta professionalità. Meno ancora ci entusiasmano i tessitori di alternative liberatorie al lavoro massiccio di fabbrica o al lavoro intellettuale irreggimentato dal progetto industriale avanzato. E, alla stessa maniera, non ci concerne l’abolizione del lavoro o la sua riduzione al minimo tollerabile per una vita pensata in questo modo piena e felice. Dietro tutto ciò c’è sempre la mano più o meno adunca di chi vuole regolarci l’esistenza, pensando in vece nostra o suggerendoci, con maniere educate, di pensarla a modo suo. Siamo per la distruzione del lavoro e, come cercheremo di spiegare, si tratta di faccenda del tutto diversa.
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Titolo: La cyber rete del dominio
Autore: Feral Faun
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 35-40
La dittatura dello strumento è il peggior genere di dittatura.
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Titolo: M. Bookchin, Democrazia diretta. Idee per un municipalismo libertario, Milano 1994. [Recensione]
Autore: A.M.B. [Alfredo M. Bonanno]
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 42-44
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Titolo: Qual è questo possibile che non c’è mai stato?
Autore: Un Mordicant
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 45-47
A partire dal suo utilizzo in campo militare, la realtà virtuale è l’oggetto di applicazioni sempre più numerose in tutti gli ambiti. Ci attende un futuro di schizofrenia generalizzata dove l’essere umano è destinato a diventare una periferia della macchina? L’impoverimento della realtà nutre il bisogno del virtuale, nel cui eterno presente tutto è permesso, ma niente è possibile.
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Titolo: H. Bey, T.A.Z. Zone temporaneamente autonome, Milano 1993. [Recensione]
Autore: P. T.
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 48-50
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Titolo: "Nessuna epoca è simile alla nostra"
Autore: Yves Delhoysie – Georges Lapierre
Serie ottava – anno 1994 – numero 73 – pagine 51-56
Nelle aspirazioni millenariste era contenuta l’esperienza dell’umanità: fu un’avventura totale, occultata sistematicamente nel corso dei secoli dal razionalismo, condannata dallo spirito politico. I millenaristi volevano realizzare il sogno più antico dell’umanità: l’Età dell’Oro, mille anni di libertà totale. Un’esperienza che ancora non è andata persa.